I perché dal XX Giugno
Riflessioni alla conclusione di "XX GIUGNO FESTA GRANDE": Il 20 giugno è una data che sempre cerca e ostinatamente interroga e i due popolani del Monumento sono l’emblema di questo continuo scambio
Il 20 giugno è una data che sempre cerca e ostinatamente interroga e i due popolani del “Monumento al XX Giugno”, che non a caso guardano verso la città e non verso l’esterno da dove arrivarono i mercenari del Papa, sono l’emblema di questo continuo scambio. Sono loro due e ciò che rappresentano l’elemento centrale del Monumento; e Perugia se, dopo essere la città degli Etruschi e dell'Arco etrusco, la città medievale e della Fontana di Piazza, è anche la città del XX Giugno con il suo monumento, lo deve alle perugine e ai perugini ricordati in quello che è l'affettuoso e compassionevole racconto popolare dei fatti di quel giorno scritto nei labari del XX Giugno alla Società Operaia di Perugia, alle testimonianze raccolte e scritte subito dopo le stragi per paura che non si sapesse cosa fosse successo, ai popolani Vincenzo Meniconi e Pietro Cestellini venuti dai Ponti, a Filippo Gasperi venuto a Perugia da san Feliciano. Un monumento risorgimentale, immagine concreta del carattere popolare del moto perugino e della durevole partecipazione emotiva verso esso di Perugia, uno dei pochi in Italia senza nessun eroe del Risorgimento cittadino o nazionale ma con due popolani che difendono la porta della loro città che in loro si è sempre riconosciuta, custode di un sentimento che Capitini chiamava “sentimento civile", faceva scrivere a Walter Binni che quel giorno gli "pareva bello esser perugino", mentre ad Averardo Montesperelli suscitava il desiderio di salire idealmente sulle barricate convinto di "lottare per la verità, per la libertà, per la giustizia". Verità, giustizia, libertà che hanno fatto diventare quei due popolani anche l'immagine dei partigiani, i nuovi patrioti, fucilati proprio in Borgo XX Giugno perché in quei valori credevano e per essi lottavano. In definitiva il Monumento al XX Giugno in generale e quelle due figure bronzee in particolare ricordano ogni giorno che esiste un concetto complesso che si chiama pietà, insieme di doveri morali dati da affetto, rispetto, senso di responsabilità, impegno. Un simbolo di libertà e progresso, costante invito a esercitare la memoria critica ancora in grado di produrre interrogativi aperti "alla riflessione e alla ricerca, alla complessità delle idee e degli atteggiamenti, alle contraddizioni che costituiscono il dato più rilevante dell'epoca nostra" (Raffaele Rossi). E proprio per consentirgli di continuare a svolgere queste indispensabili funzioni necessarie alla vita morale di una comunità è tuttora utile chiedersi cosa succedeva a Perugia il 20 giugno 1859 e 1944 e perché. Persino cosa accadeva nel chiuso del Palazzo dei Priori di Perugia il 20 giugno del 1859 mentre fuori all'aperto davanti a porta San Pietro si consumavano i "Fatti del XX Giugno". Cosa facevano in quelle ore drammatiche i membri del Governo Provvisorio? Cosa provavano? Cosa si dicevano? Quali decisioni prendevano? E Giuseppe Porta, segretario comunale, era rimasto solo nel Palazzo e ha deciso da solo di andare con un fazzoletto bianco verso i mercenari e la morte o gli hanno detto di farlo? E una volta liberata Perugia il 14 settembre 1860 hanno lasciato testimonianze su quelle ore o sappiamo solo della dedica nel Monumento alla "magnanima schiera che oppose eroica resistenza" dettata da Francesco Guardabassi; che Omicini andò con i "Cacciatori del Tevere" a liberare Orvieto; che nel 1909 all'inaugurazione del Monumento erano presenti, unici sopravvissuti, Zefferino Faina e Raffaele Omicini. Perugia città dove nonostante lo scorrere del tempo la compassione verso i morti del Venti Giugno seppur diversamente manifestata è ancora presente e i due a prima vista silenziosi popolani del XX Giugno che da quel monumento continuamente si mostrano, osservano, ricordano, indicano, se le meriterebbero risposte a quei lontani così vicini perché.
Cesare Barbanera, Vanni Capoccia
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