20/04/2024
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L'albero della vita
Di fronte all'albero della vita e ai nostri figli che ci lasciano saremo sempre, alla fine, irrimediabilmente soli


 "Padri e figli" è un romanzo di Turgenev, un film di Monicelli, il tema immortale della vita degli uomini. Anche nell'ultimo film di Terrence Malick, premiato a Cannes, è questo il percorso di un lungo viaggio nella memoria di un giovane americano, la ricerca di un rapporto smarrito con il padre e la scomparsa di un fratello in un incidente, manca a dirlo, d'auto. Padri e figli che cercano di scalare faticosamente "L'albero della vita" in un giardino del Texas. Tutti noi, in questi giorni, guardando la tragedia di Passignano, abbiamo pensato a questa condizione, al rapporto così speciale con il proprio figlio e al dolore che si prova quando questo rapporto si spezza in modo irreparabile. Oltre a trasmettere una propria forte partecipazione emotiva alla famiglia, parenti e amici non hanno potuto far altro. In questi casi non ci sono davvero parole.
Eppure, anche una vicenda tragica come quella, e così particolare, appartiene alla normalità della vita come tutte le cose del mondo. Ed è forse in questo modo di guardarla che si può trovare una parola, magari una sola, di conforto per il padre di Jacopo. In fondo, se ci pensiamo, tutti noi abbiamo dimenticato per un attimo i nostri figli, in tanti momenti, in tante diverse occasioni. Ci capita continuamente, anche quando non ce ne accorgiamo, pur se una dimenticanza non ha necessariamente conseguenze irreparabili, anzi, quasi sempre, non ne ha affatto. Ma ci capita, anche perché non c'è rapporto, anche quello più esclusivo, che non conosca una pausa, uno strappo breve e improvviso, un vuoto che ci regala altri pensieri e altri orizzonti oltre quello della paternità e della presenza totalizzante di un bambino che non è ancora capace di parlarci. Un neonato è un essere tutto speciale perché ha solo lo sguardo e poi tanti altri segnali più complicati per comunicare con il mondo sconosciuto che gli gira attorno. In un rapporto così unilaterale, dove tutto dipende da una sola persona, un errore è sempre possibile perché non c'è l'interlocutore che lo possa correggere.
Si dice talvolta che la madre abbia un sensore speciale dentro di sé che gli permette di stare sempre in contatto con il proprio figlio. Impossibile che se ne possa allontanare senza averne coscienza. Può darsi, ma tutto questo rende ancor più difficile il mestiere del padre perché padri e figli nascono e vivono separati e perché, dunque, madri  si è naturalmente, anche padri, si capisce, ma padri si diventa in ogni caso facendo un percorso molto più complicato. E' tutta qui la fatica di fare il padre che, infatti, nel corso del tempo passato ha avuto solo il compito di fare il genitore, di generare, non certo di stare vicino ai propri figli e di accompagnare nel corso della vita il loro sviluppo. Quello è stato per antica consuetudine il ruolo della madre. Essere padri, dunque, è un mestiere giovane nella storia dell'uomo. Un mestiere della modernità che si avvicina sempre di più nel tempo, e senza mai raggiungerlo, a quello della madre.
E' la modernità che ha cambiato il rapporto dei genitori con i figli e la funzione stessa della famiglia. Nei decenni passati, ancora soltanto nel secolo scorso, i figli non andavano all'asilo e neanche alla materna. Crescevano in casa come componenti di una comunità dove convivevano diverse generazioni e poi andavano a scuola da soli, a piedi, conquistando così una autonomia che era già nelle dinamiche domestiche e nella separazione così rigida dei ruoli nelle case di una volta. Oggi i figli crescono nelle nostre auto che sono diventate il passeggino più usato. All'asilo, a scuola, a casa degli amici, in piscina, a lezione di inglese, ai giardinetti. E' la loro iniziazione alla modernissima dipendenza dall'auto e ai riti della città dove tutto è disperso e lontano. E' la corsa contro il tempo che ci costringe sempre a correre e ci vede così spesso in ritardo. E' così che dimentichiamo i nostri figli. Chi va oggi a prenderlo a scuola? e dov'è in questo momento, in casa di quale amico e a quale ora si deve tornare a riprenderlo. Alzi la mano chi non ha mai dimenticato il figlio a scuola e che sia arrivato con grande affanno, dopo un ritorno della memoria, davanti alla porta di ingresso e abbia visto sulle scale, seduto con qualche apprensione accanto a un bidello paziente, lo scolaro che ci aspetta. Non era oggi il turno della madre? no, era il nostro ed eravamo così tranquilli sino a quando non si è accesa la lampada di un sensore che i padri non possiedono per grazia ricevuta.
La tragedia di Passignano, anche per questo, tocca tutti noi genitori e, soprattutto, noi padri. Padri inadeguati in qualche cosa e imperfetti quasi sempre e alle prese con un mestiere molto più grande e gravoso di quello che dobbiamo imparare a mostrare in ufficio e per il quale ci preoccupiamo così tanto e così tanto temiamo di perdere. Arriva sempre un momento che ci fa capire l'importanza reale delle cose, la gerarchia dei valori, il senso del futuro. Può essere una malattia, un incidente, una sconfitta professionale, una delusione sentimentale o semplicemente una pausa nel correre inconsapevole della giornata, un respiro che ci consente per un attimo di fermare il mondo. Ma il dolore del padre di Jacopo, quello possiamo solo cercare di condividerlo all'interno di una comunità più larga e solidale ma non certo capirlo e provarlo, perché è troppo grande ed esclusivo. Di fronte all'albero della vita e ai nostri figli che ci lasciano saremo sempre, alla fine, irrimediabilmente soli.
                                                                                                           renzo.massarelli@alice.it
(Il Corriere dell'Umbria, sabato 4 giugno 2011)



Renzo Massarelli

Inserito lunedì 6 giugno 2011


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