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Israele e 'il diritto all'autodifesa': una enorme vittoria propagandistica
Un articolo sul giornale israeliano Ha'aretz

 19 Novembre 2012

http://www.haaretz.com/news/features/israel-s-right-to-self-defense-a-tremendous-propaganda-victory.premium-1.478913

Una delle grandi vittorie della propaganda di Israele è essere accettato come vittima dei palestinesi agli occhi sia del pubblico israeliano sia dei leader occidentali che si affrettano a parlare del diritto di Israele a difendersi. La propaganda è così efficace che sono soltanto i razzi palestinesi a sud di Israele, e ora a Tel Aviv, che vengono contati nel corso delle ostilità. I razzi, o i danni al più santo dei santi - una jeep militare - sono sempre visti come un punto di partenza, e, insieme con la terrificante sirena, come colta da un film della seconda guerra mondiale, costruisce la meta-narrazione della vittima che ha diritto a difendersi.

Ogni giorno, anzi ogni momento, questa meta-narrazione permette a Israele di aggiungere un altro anello alla catena di espropriazione di una nazione antica quanto lo Stato stesso, al tempo stesso riuscendo a nascondere il fatto che un filo continuo corre dal rifiuto di consentire ai rifugiati palestinesi di tornare alle loro case nel 1948, l'espulsione nei primi anni ‘50 dei beduini del deserto del Negev, l'espulsione attuale dei beduini della Valle del Giordano, fattorie per gli ebrei nel Negev, discriminazione nella assegnazione delle risorse in Israele, e cannonate ai pescatori di Gaza per impedire loro di guadagnarsi da vivere in modo rispettabile.
Milioni di simili fili continuano a collegare il 1948 a oggi. Essi sono il tessuto della vita per la nazione palestinese, divisi come si può essere in sacche isolate. Essi sono il tessuto della vita dei cittadini palestinesi di Israele e di coloro che vivono in terra di esilio.

Ma questi fili non sono l'intero tessuto della vita. La resistenza ai fili che noi, gli israeliani, senza fine intessiamo è anch’essa parte del tessuto della vita dei palestinesi. La parola “resistenza” è stata svilita a significare la concorrenza molto maschilista di quale missile esploderà più lontano (una competizione tra le organizzazioni palestinesi, e tra questi e l'esercito israeliano). Essa non inficia che, in sostanza, la resistenza alla ingiustizia della dominazione israeliana è una parte inseparabile della vita di ogni palestinese.

I ministeri degli esteri in Occidente e negli Stati Uniti collaborano consapevolmente con la rappresentazione menzognera di Israele come vittima, se non altro perché ogni settimana ricevono segnalazioni dai loro rappresentanti in Cisgiordania e Striscia di Gaza su un altro anello di espropriazione e oppressione che Israele ha aggiunto alla catena, o perché i soldi dei propri contribuenti vanno a compensare alcuni dei disastri umanitari, grandi e piccoli, inflitti da Israele.

L'8 novembre, due giorni prima dell'attacco al più santo dei santi - soldati in una jeep militare – [i ministeri degli esteri occidentali] avrebbero potuto leggere dei soldati israeliani che uccidevano un bambino di 13 anni, Ahmad Abu Daqqa, che stava giocando a calcio con i suoi amici nel villaggio di Abassan, a est di Khan Yunis. I soldati erano a 1,5 km dai bambini, all'interno dell'area della Striscia di Gaza, impegnati a "esporre" (eufemismo per “distruggere”) terreni agricoli. Allora, perché il conteggio dell’aggressione non dovrebbe iniziare con un bambino? Il 10 novembre, dopo l'attacco alla jeep, l'esercito israeliano ha ucciso altri quattro civili, tra i 16 e i 19 anni di età.

Sguazzare nell'ignoranza

I leader occidentali avrebbero potuto sapere che, prima delle esercitazioni dell'Idf [Israeli Defence Force] la settimana scorsa nella valle del Giordano, decine di famiglie beduine hanno dovuto evacuare le loro case. Che cosa straordinaria che le esercitazioni delle forze israeliane si verifichino sempre dove vivono i beduini, e non i coloni israeliani, e che costituiscano un motivo per espellerli. Un altro motivo. Un'altra espulsione. I leader occidentali avrebbero anche potuto sapere, in base ai rapporti super-colorati e su carta cromata che i loro Paesi finanziano, che dall'inizio del 2012 Israele ha distrutto 569 edifici e strutture palestinesi, inclusi pozzi, e 178 residenze. In tutto, 1014 persone sono state colpite da tali demolizioni.

Non abbiamo sentito le masse di Tel Aviv e degli abitanti del sud informare gli amministratori dello Stato circa le conseguenze di questa distruzione sulla popolazione civile. Gli israeliani sguazzano allegramente nella loro ignoranza. Le informazioni e gli altri fatti simili sono disponibili e accessibili a chi è veramente interessato. Ma gli israeliani scelgono di non sapere. Questa voluta ignoranza è la prima pietra nella costruzione del senso di vittimizzazione di Israele. Ma l'ignoranza è ignoranza: il fatto che gli israeliani non vogliono sapere che cosa stanno facendo come potenza occupante non nega le loro azioni o la resistenza palestinese.

Nel 1993 [con gli Accordi di Oslo], i palestinesi offrirono un dono a Israele, un'occasione d'oro per tagliare i fili che legano il 1948 al presente, ad abbandonare le caratteristiche di espropriazione coloniale del paese, e insieme progettare un futuro diverso per i due popoli della regione. La generazione palestinese che ha accettato gli accordi di Oslo (pieno di trappole tese da intelligenti avvocati israeliani) è la generazione che ha conosciuto una poliedrica, anche normale, società israeliana in quanto l'occupazione del 1967 ha consentito (allo scopo di fornire manodopera a basso costo) quasi piena libertà di movimento. I palestinesi accettarono un accordo basato sulle loro esigenze minime. Uno dei pilastri di queste esigenze minime era di trattare la Striscia di Gaza e la Cisgiordania come una unica entità territoriale.

Ma una volta che l'attuazione di Oslo fu avviata, sistematicamente Israele ha fatto tutto il possibile per rendere la Striscia di Gaza una entità separata, scollegata, come parte della insistenza di Israele a mantenere i fili del 1948 e la loro estensione. Dal momento dell'ascesa di Hamas, ha fatto di tutto per confermare l'impressione che Hamas preferisce – cioè che la Striscia di Gaza sia un'entità politica separata dove non c'è occupazione. Se è così, perché non guardare le cose nel modo seguente: In quanto entità politica separata, ogni incursione nel territorio di Gaza è una violazione della sua sovranità, e Israele lo fa continuamente. Non ha forse il governo dello Stato di Gaza il diritto di rispondere, di impedire, o almeno il diritto maschilista - gemello del diritto maschilista dell'Idf - di spaventare gli israeliani così come Israele spaventa i palestinesi?

Ma Gaza non è uno stato. Gaza è sotto occupazione israeliana, nonostante tutte le acrobazie verbali di Hamas e Israele. I palestinesi che vi abitano sono parte di un popolo il cui Dna contiene la resistenza all'oppressione.

In Cisgiordania, gli attivisti palestinesi cercano di sviluppare un tipo di resistenza diverso da quello maschilista che è la resistenza armata. Ma l'esercito israeliano soffoca ogni resistenza popolare con zelo e determinazione. Non abbiamo sentito i residenti di Tel Aviv e del sud lamentarsi dell'equilibrio di deterrenza che l'esercito israeliano sta costruendo contro la popolazione civile palestinese.

E così Israele fornisce a sempre più giovani palestinesi, per i quali Israele è una società anormale di esercito e coloni, i motivi di pensare che l’unica resistenza razionale sia il sangue versato e rispondere con terrorismo a terrorismo. E così ogni anello israeliano di oppressione e tutto il disprezzo israeliano verso una esistenza di oppressione ci trascina sempre più in basso nel pendio della competizione maschile.

(Traduzione di Daniele Crotti)



Amira Hass

Inserito martedì 20 novembre 2012


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Nome: Daniele
Commento: Mi permetto di segnalare una svista: la traduzione dell'articolo è del dottor Angelo Stefanini di Bologna, già collaborante a Gerusalemme per i Territori Palestinesi Occupati da Israele. Grazie dell'attenzione.

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