A scuola a cinque anni?
Il Miur e le Indicazioni nazionali
E’ di questi giorni la proposta del Ministro Giannini di anticipare l’ingresso alla scuola primaria dei bambini di 5 anni. La proposta non è del tutto nuova, se ne parlava già alla fine degli anni Novanta, con il Ministro Luigi Berlinguer. Ma allora il disegno di legge prevedeva di rendere obbligatorio l’ultimo anno della scuola dell’infanzia e non anticipare l’ingresso alla scuola primaria. Naturalmente allora condividemmo questa scelta: rendere obbligatorio l’ultimo anno della scuola dell’infanzia per noi insegnanti del Movimento di Cooperazione Educativa, significava: legittimare quanto era stato fatto nelle scuole dell’infanzia, riconoscere le sperimentazioni realizzate, valorizzare una didattica organizzata per laboratori del fare, condividere una logica della cooperazione, dare spazio ad aspetti quali la cura, l’ascolto, il gioco, l’esplorazione e la ricerca, fare delle scuole dell’infanzia il punto di riferimento di un percorso formativo valido per tutta la scuola di base. Non condividiamo oggi la proposta del Ministro Giannini che ci ricorda piuttosto la L.53/’03 del Ministro Moratti che prevedeva l’anticipo a 2 anni e mezzo alla materna e a 5 anni e mezzo alla primaria e contro la quale prendemmo posizione, assieme ad altre Associazioni e ai sindacati.
La logica dell’anticipo nasconde due pericoli: risponde ai bisogni e alle aspettative degli adulti, piuttosto che alle esigenze dei bambini; sottrae un anno alle scuole dell’infanzia, riducendo di fatto il percorso formativo delle scuole materne, confinandole nuovamente a quel ruolo puramente assistenziale, dal quale solo recentemente si sono affrancate. 1. Oggi nell’opinione pubblica è fortemente diffusa l’idea che l’anticipo scolastico sia un modo per favorire ulteriormente l’intelligenza dei bambini: i bambini ricevono tanti stimoli, molto più che in passato, sia dai mass- media sia dalla famiglia- si dice- sollecitazioni che favoriscono una maggiore rapidità di apprendimento. Molto spesso le famiglie ad esempio già chiedono alla scuola di poter inserire i bambini alla scuola dell’infanzia o alla scuola primaria in anticipo, rispetto all’età del bambino e prevista dai termini di legge. Giustificano poi tale richiesta sostenendo che il bambino è più sveglio della sua età o sa già leggere e scrivere, o che si annoia alla scuola dell’infanzia (o al nido) e quindi è pronto per il passaggio alla scuola successiva. Ma essere pronti, per un bambino, non vuol dire, essere in grado di riconoscere tutte le lettere dell’alfabeto, vuol dire avere un equilibrio emotivo abbastanza stabile e delle competenze sociali abbastanza strutturate da poter cominciare ad affrontare compiti, a soddisfare richieste ed aspettative, proprie ed altrui, che in prima elementare diventano più significative e pressanti. È facilmente osservabile in tutte le scuole quanto i bambini possano risultare, per molti versi, “svegli” e capaci di apprendere ma è anche altrettanto evidente quanto possano essere incapaci di reggere le piccole frustrazioni dovute alla vita scolastica e di instaurare delle relazioni positive con i compagni o con l’insegnante. L’anticipo può essere dannoso perché:
apre la strada all’accelerazione dei tempi dell’apprendimento, come immagine di successo sociale provenienti dal mondo degli adulti, senza considerare i tempi e i ritmi di crescita e il diritto alla qualità degli apprendimenti; provoca il cadere nel precocismo degli apprendimenti formalizzati; si traduce nell’attesa di voler vedere risultati immediati nelle prestazioni dei bambini; soddisfa il narcisismo di molti genitori (e quello professionale di molti docenti), ma potrebbe avere conseguenze negative nello sviluppo relazionale ed emotivo dei bambini.
2 .Il secondo aspetto sul quale vale la pena riflettere è il fatto che accorciare il percorso delle scuole dell’infanzia da tre a due anni, significa negare il valore del percorso formativo che una buona scuola dell’infanzia comporta, ricacciarla nel ruolo assistenziale nel quale è stata confinata per anni, mettere in crisi l’identità e la credibilità della scuola dell’infanzia rivolta ai bambini dai 3 ai 6 anni, così come si è venuta consolidando negli ultimi decenni. Nelle buone scuole dell'infanzia da sempre vengono elaborati e pensati progetti nei quali si intrecciano la conoscenza e l’affettività, il gioco libero e la comprensione del mondo, l'accoglienza dell'emozione e lo sviluppo del pensiero, itinerari che a partire dall'accoglienza delle emozioni avviano gradualmente verso la formazione del pensiero, curricoli nei quali è possibile conciliare il bisogno di creatività, di esplorazione e scoperta, con il sapere dei campi di esperienza senza mai però trasformarsi in esercizio artificioso e privo di significati. Nelle scuole dell’infanzia sono stati elaborati progetti caratterizzati dalla flessibilità in tutti i suoi possibili sviluppi, dalla scelta di modalità progettuali integrate e unitarie, dal ricorso a varie forme aggregative tra i bambini, dalla ricerca di sistemi valutativi che non sono strumenti di giudizio e di misurazione, dal coinvolgimento non formale delle famiglie, dalla dimensione dell'accoglienza, quale forma primaria per l'avvio dell'apprendimento, dal conferimento di "senso" alle esperienze svolte...
Tutto questo non può essere vanificato o annullato da una proposta che non tiene conto delle esigenze e dei tempi di sviluppo dei bambini. Infine come possono le scuole primarie attuali, così come sono pensate e strutturate attualmente, accogliere e rispondere alle esigenze di bambini più piccoli? Per accogliere bambini di 5 anni alla scuola primaria, c’è bisogno di una formazione rivolta agli insegnanti, c’è bisogno di rivedere gli spazi, le strutture, che devono consentire possibilità di gioco, movimento e esplorazione; ripensare i tempi e l’organizzazione della giornata adeguati alle esigenze formative e psicologiche dei bambini di questa età, tempi più morbidi e distesi, maggiore attenzione da dedicare alle routine quotidiane, per garantire il benessere psico-fisico dei bambini; riconsiderare l’organizzazione delle attività che devono essere fondate su attività di laboratorio, in piccoli gruppi...
Per tutti questi motivi ribadiamo con forza il nostro NO a qualsiasi forma di anticipo se non supportata da curricoli e formazione adeguate
SI’ ad una buona scuola dell’infanzia della durata triennale attraverso:
un modello pedagogico equilibrato tra dimensioni cognitive, affettive e relazionali, raccordi più espliciti con la scuola elementare anche attraverso progetti sperimentali, elaborazione di un curricolo verticale (a partire dall’esperienza ormai generalizzata degli istituti comprensivi) un progetto di continuità orientato alla condivisione delle esperienze educative e non alla precoce differenziazione/separazione dei percorsi. Per una visione complessiva del percorso scolastico
Le ipotesi lanciate dal ministro Giannini non investono soltanto la Scuola dell'Infanzia, nella sua specificità e nella sua storia consolidata (vedi documento sulla Scuola dell'Infanzia) ma vanno ad incidere pesantemente anche sui successivi segmenti dell'istruzione.
Ravvisiamo, in questa impostazione, l'idea di una scuola che trasforma un percorso educativo in una corsa ad ostacoli, in cui “vince chi parte per primo”, e di un soggetto che attraversa le tappe evolutive risolvendone criticità e punti di svolta con la precocizzazione degli apprendimenti, con la marcia a tappe forzate dei processi di socializzazione e di interiorizzazione.
Abbiamo a suo tempo e più volte segnalato il rischio di inserire nella Scuola primaria forme di disciplinarismo che diventano altrettanti canali di selezione e marginalizzazione delle fasce sociali più fragili. Ci preoccupa, adesso, tanto più l'anticipo a 5 anni dell'ingresso nella Scuola primaria: in una fase dello sviluppo in cui le variabili individuali debbono essere riconosciute e accompagnate, piuttosto che sottoposte a standard di performances omologanti.
Per non dire dell'effetto altrettanto perverso che avrebbe l'anticipo di un anno dell'ingresso alla Scuola secondaria di primo grado, che vedrebbe convivere all'interno del proprio progetto pedagogico bambini/e caratterizzate/i dalle delicate fasi conclusive dell'infanzia (negli aspetti socioaffettivi non meno che in quelli cognitivi) e preadolescenti alle prese con le turbolenze tipiche di un'accelerazione nella crescita psicofisica che pone ad essi, e agli adulti che interagiscono in chiave educativa, specifiche problematiche. L'esperienza di insegnamento nella Scuola media ci dice quanto sia già da sempre arduo il primo anno, quante competenti mediazioni, da parte degli insegnanti, richieda il passaggio da un approccio essenzialmente unitario ai vissuti ed ai saperi ad una prima sistematizzazione/astrazione delle conoscenze attraverso le chiavi dei saperi disciplinari.
Insomma, individuiamo nell'incauta presa di posizione del ministro alcune vistose carenze, nelle quali ancora una volta sembra pesare l'assenza di un confronto costante con il mondo della scuola e con chi lo vive quotidianamente. Ma non basta: è una cultura dell'infanzia e dell'adolescenza che va ricostruita, e per alcuni aspetti ripensata alla luce dei profondi cambiamenti e delle nuove acquisizioni teoriche sviluppate dalle scienze di riferimento. Un approccio finalmente liberato dalle visioni adultocentriche, ma anche dalle regole mercantili che vorrebbero anticipare le leve dei consumatori più che quelle dei cittadini consapevoli.
Sollecitiamo chi ha responsabilità di elaborazione politica e di governo a considerare l'assetto degli ordinamenti scolastici in una chiara visione d'insieme, evitando interventi settoriali che finiscono per snaturare (come abbiamo sottolineato) l'intero percorso. La “buona scuola” non si ricostruisce tagliando “pezzi” da una parte o dall'altra, ma rimodulando organizzazione e contenuti culturali nella prospettiva degli investimenti strutturali finalmente adeguati, delle risorse materiali e professionali necessarie e della ricerca pedagogico- didattica rivitalizzata, anche attraverso politiche sistematiche di formazione permanente degli insegnanti. Le scuole reali sono disseminate di buone pratiche, capaci di dare un contributo competente: non intendono essere ancora una volta terminali di provvedimenti maturati altrove, ma co-costruttrici di un progetto culturale e pedagogico di largo respiro.
Un'ultima considerazione: non si rileva una discrepanza fra quanto viene prospettato dal ministro e il tessuto unitario delineato dalle nuove indicazioni nazionali dai 3 ai 16 (18) anni?
- con la collaborazione di Diana Penso e Simonetta Fasoli