26/04/2024
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La società civile messa i margini della nuova programmazione comunitaria
Associazioni biologiche, agronomi e Università non ammessi ai tavoli verdi. Eppure i risultati della vecchia programmazione sono tutt’altro che esaltanti. Necessario abbandonare visione anacronistica dello sviluppo agricolo

“Le regole per la realizzazione dei nuovo piani di sviluppo rurale prevedono importanti momenti di partecipazione da parte di associazioni e società civile nella stesura di quello che è un vero e proprio programma di gestione del territorio, ma in Umbria si è scelta ancora una volta l'interpretazione più restrittiva ed i tavoli di partenariato hanno lasciato il posto a convegni ed incontri bilaterali che poco hanno a che vedere con momenti collettivi di concertazione e confronto. Quindi non è stato solo il Consiglio regionale ad essere marginalizzato nel dibattito sul futuro dell’agricoltura regionale, ma anche un’importante fetta di società regionale”. Con queste parole il consigliere regionale Oliviero Dottorini, presidente dell'associazione Umbria Migliore, affronta la questione della scelta dell'assessorato all'Agricoltura di non avviare un vero percorso partecipativo durante tutte le fasi di stesura del Piano di Sviluppo Rurale 2014-2020.

“La nuova Pac ci mette a disposizione tutti gli strumenti per superare un modello antiquato di orientamento delle risorse comunitarie per puntare con decisione su ambiente, filiere corte e produzioni certificate. In questa ottica è evidente che sui nuovi Piani di sviluppo rurale si giocano partite importantissime che riguardano direttamente il futuro del nostro territorio e di migliaia di persone che vi lavorano. Le scelte relative alle politiche agricole rivolte ai giovani, il modello di sviluppo da perseguire, le attività di sostegno alle aziende sono tutte questioni importantissime che devono essere condivise e concertate con una platea più vasta possibile. E' assai significativo, al contrario, che ancora oggi in Umbria al Tavolo Verde non siano chiamati a partecipare né le associazioni di produttori biologici né degli agronomi o i rappresentanti dell'Università. Tutto ciò è sintomatico di una visione antiquata del concetto di sviluppo rurale e di una chiusura che va in netta controtendenza rispetto a ciò che ci chiede l'Europa. Non a caso siamo stati una delle prime regioni a dotarci di una legge sull'assegnazione delle terre pubbliche incolte a giovani e disoccupati, ma a tutt'oggi, dopo la scadenza dei termini previsti, non è ancora stato emanato il regolamento attuativo e di fatto si stano togliendo a molti soggetti interessati, opportunità di lavoro e di riqualificazione dell'ambiente”.

“Usciamo da un settennio – aggiunge Dottorini - che ha visto l’Umbria in grado di intercettare le risorse comunitarie meglio di altre regioni, con una importante capacità di spesa. Ma a nessuno è chiaro quali effetti abbia prodotto questo fiume di risorse sul tessuto economico e sociale della nostra regione. Guardando i dati della nostra agricoltura, ad esempio, c’è da affermare che essere stati efficienti nell’utilizzare le risorse messe a disposizione da Bruxelles non significa in alcun modo essere stati efficaci, a iniziare dalla mancata riconversione di colture dall’alto impatto ambientale e dal basso tenore occupazionale. In Umbria balza agli occhi la discrasia tra le risorse intercettate e la loro ininfluenza sui dati macroeconomici della Regione. Per questo, considerata l'importanza che la programmazione comunitaria riveste per le imprese e i cittadini umbri, sarebbe stato lecito immaginare come prioritaria l’elaborazione di un'analisi sui risultati, sull’efficacia e anche sulle modalità di assegnazione delle premialità, con l’obiettivo di far tesoro anche degli errori. Sarebbe stato fondamentale inoltre il massimo confronto con tutto il mondo agricolo, delle professioni e della ricerca che forse avrebbero potuto fornire gli strumenti per cambiare realmente virando con decisione sul versante dell'innovazione e dell'ecosostenibilità le ingenti somme assegnate per le politiche agricole. Continuare a sostenere colture impattanti e modalità che nulla hanno a che vedere con ambiente ed etica e non coinvolgere nei processi decisionali chi sul territorio vive e lavora, significherebbe perdere una occasione di sviluppo irripetibile, ancorare l'Umbria ad una visione anacronistica dell’agricoltura e mortificare le tante aziende virtuose che nella nostra regione hanno reagito alla crisi puntando con decisione su una visione ecologica dello sviluppo”.




Oliviero Dottorini


Inserito sabato 19 luglio 2014


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