23/04/2024
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8 Marzo: giornata della memoria
Che cosa è rimasto della Giornata Internazionale della donna?

                        

La memoria com’è noto è una caratteristica dell’attività cerebrale umana e ha costituito un importante dispositivo a sostegno della evoluzione della nostra specie. Senza memoria non ci sarebbe stata la possibilità di trasmettere dati d’esperienza essenziali per la sopravvivenza e fondamento di nuove scoperte tecnologiche ed entusiasmanti avventure intellettuali.
Memoria e linguaggio sono strettamente correlate per cui si attribuisce alla memoria umana la capacità di farsi racconto, narrazione, storia.
E’ però ugualmente noto che la memoria ha bisogno di essere supportata dal costante rinforzo di pratiche individuali e collettive per evitare che certi ricordi – ritenuti significativi – sbiadiscano, si confondano, si travisino, smettano di essere alimento alla conservazione di conoscenze e  valori che una società ritiene fondamentali per la propria sopravvivenza.
Possiamo senz’altro portare ad esempio di ciò, il fatto  che a sessant’anni dalla nascita della nostra Repubblica, parole come Lavoro, Resistenza, Diritti, Pace, Uguaglianza,Solidarietà e la stessa Carta Costituzionale che le contiene abbiano perso negli anni il necessario rapporto con gli eventi storici da cui sono potentemente emerse, ad espressione della complessa vicenda italiana nata dal ventennio fascista e dal suo superamento dopo la seconda guerra mondiale.
Parlo della Democrazia, altra parola la cui luce conosce pause d’intermittenza che si fanno giorno dopo giorno minacciosamente più ampie.

Si è reso necessario, per ovviare a questo indebolimento della memoria individuale e collettiva , istituire dei Giorni della Memoria, celebrati con dispiegamento di proclami ufficiali, manifestazioni, programmi culturali di vario genere, proposti  con grande risalto ad esortare, soprattutto le giovani generazioni, a non dimenticare del passato quanto può nel presente e nel futuro salvarci da nuove barbarie.
 Che poi si appellino sempre i giovani a riparare  le colpevoli dimenticanze degli adulti è un curioso modo di scaricarsi di responsabilità che appartengono tutte intere alla generazione dei padri e delle madri e tanto più di chi si dichiara – per mandato istituzionale e/o vocazione personale - tutore degli interessi della Nazione (o Patria, per chi preferisce). 
Che sia stato necessario stabilire che  il 27 gennaio è data destinata a ricordare  i lager nazisti e l’orrore della shoah,  la dice lunga su come la nostra società, sopraffatta dal turbinio del quotidiano commercio, tenda a dimenticare sempre più allegramente eventi di cui ci sono ancora testimoni viventi, ma impotenti a dialogare con quanto le voci sonore e accattivanti dei media, della pubblicità, delle vetrine televisive  impongono all’ascolto e all’attenzione.  

Stessa sorte è toccata all’8 Marzo.
 Che cosa è rimasto della Giornata Internazionale della donna voluta dalle organizzazioni femminili all’inizio del ‘900? Quale memoria è rimasta dei soprusi sul lavoro, delle morti, dell’esclusione dai diritti politici, delle violenze che hanno segnato il faticoso emergere dei movimenti delle donne che hanno accompagnato i principali avvenimenti degli ultimi due secoli?
Ma venendo a tempi più recenti, chi si ricorda di Franca Viola, la ragazza siciliana  che nel 1965 rifiutò il matrimonio riparatore ( previsto dall’art. 544 dell’allora codice penale) col giovanotto che l’aveva rapita e violentata, muovendo così un attacco decisivo  ad una società che vedeva nella violenza su una donna un’ offesa alla morale e non un delitto contro una persona?
Quali ricordi conserviamo di Rosaria Lopez e Donatella Colasanti rapite, seviziate e abusate fino alla morte di una delle due (Rosaria) a S. Felice Circeo nel 1975?
E chi ricorda i nomi degli aguzzini: Andrea Ghira, Angelo Izzo,  Gianni Guido, tre “bravi ragazzi”, dei quali il primo non ha scontato un giorno di prigione  e il secondo è uscito per buona condotta così da poter assassinare altre due donne?
 Se non ci fosse stato il movimento delle donne a sostenere in tribunale Donatella quel processo per stupro probabilmente non si sarebbe mai tenuto e tante altre donne non avrebbero avuto la forza di denunciare i loro stupratori. Già, perché nel 1975 il movimento femminista in Italia era forte e già dal 1969 aveva trasformato l’8 marzo in una giornata di lotta dove le donne in ogni città d’Italia chiedevano a gran voce il  rispetto della propria dignità di persone, il riconoscimento dei propri diritti, di poter gestire il proprio corpo e la propria sessualità, di poter affermare orgogliosamente la propria “differenza”.

Nel turbinio di mimose che hanno inondato gli 8 marzo degli ultimi anni si è andato smarrendo il senso profondo che questa giornata intendeva esaltare e mantenere vivo, e noi donne – sì, dobbiamo almeno noi saper assumerci questa responsabilità - abbiamo accettato che venisse svilito tra insipide manifestazioni ufficiali, animate dagli stessi registi dell’oscuramento delle esperienze, delle emozioni e del valore umano e sociale delle donne, e sciocchi spettacoli dove in un rovesciamento simmetrico si imita lo sguaiato modo di far festa di tanti maschi in carenza di immaginazione e buon gusto. E tutto questo mentre si richiudevano per tante donne le speranze aperte negli anni di maggior sicurezza economica, e le parole d’ordine centrate sulla visibilità delle donne come soggetto politico dotato di autorevolezza  andavano degradando fino a scomparire dal linguaggio corrente.
 Ma la soluzione al degrado non consiste, a parer mio, nel rinnegare questa data, come molte affermano di fare, scegliendo una dichiarata distanza da una manifestazione certo involgarita, ma sostenendo e  legittimando così la generale amnesia di quanto le donne siano state capaci  e sono capaci di mettere in gioco, in termini di coraggio, creatività, autentica voglia di cambiamento, accettando di essere risucchiate  dentro la “rassicurante” immagine di donne bisognose di protezione  – polizia, esercito, ronde, e quanto la generosità del nostro governo sa pensare a difesa (??)  di un sesso su cui è sempre buona regola vigilare  - contro l’ orco di turno sul quale far ricadere le colpe di violenze e abusi di cui tutta la società patriarcale è colpevole, fuori e dentro i confini della nazione, e a cui solo la memoria delle donne può  opporre narrazioni efficaci a scardinarne l’ordine simbolico che la fonda e sostiene. 

E allora riprendiamoci l’8 marzo, con gioia, con rabbia, con dolore, con sdegno, con entusiasmo, con le mimose tra i capelli o senza mimose, ma fiere di accogliere il testimone che le donne prima di noi ci hanno passato e che dobbiamo saper consegnare alle nuove generazioni, senza colpevoli silenzi e misconoscimenti. Ci meritiamo ben più che una festa!
 



Silvana Sonno

Inserito martedì 3 marzo 2009


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