20/04/2024
direttore Renzo Zuccherini

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La Repubblica tra memoria e attualità
Non solo 2 Giugno. Il termine Repubblica è qualificato dai principi fondamentali contenuti nei primi dodici articoli della Costituzione

 

 

La Repubblica e la Costituzione sono state le conquiste più importanti della Liberazione. Alla base della insurrezione proclamata dal Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia il 25 aprile del 1945 ci fu la volontà oltre che di assestare il colpo di grazia al nazifascismo, di dimostrare agli alleati anglo-americani che il popolo italiano era in grado di darsi liberamente istituzioni democratiche fondate su una nuova Costituzione. E fu quello che avvenne. Il 2/3 giugno del 1946 si tenne contestualmente il referendum istituzionale sulla scelta tra Repubblica e Monarchia e l’elezione dell’Assemblea costituente. E il suffragio fu universale grazie al riconoscimento alle donne del diritto di votare e di essere elette.

Il referendum fu un avvenimento tutt’altro che tranquillo e dall’esito scontato. Intanto con il decreto legislativo luogotenenziale n. 98 del 1946 fu stabilito che la scelta dell’assetto istituzionale dello Stato fosse compiuta direttamente dal popolo e non più dall’Assemblea costituente, come originariamente stabilito nel decreto legge luogotenenziale n. 151 del 1944 approvato dal governo Bonomi del quale facevano parte i partiti antifascisti. Il cambiamento fu deciso in conseguenza sia delle pressioni degli anglo-americani (in particolare gli inglesi vedevano di buon occhio il mantenimento della monarchia) sia della preferenza di alcuni partiti antifascisti (e in particolare della DC) che erano repubblicani, ma sapevano che una parte del loro elettorato potenziale era monarchica e quindi preferivano non assumere in prima persona la decisione tramite i propri deputati nella Costituente. Alla vigilia del referendum vi fu il colpo di mano di Vittorio Emanuele III, responsabile dell’ascesa al potere del fascismo e dei peggiori provvedimenti adottati dal regime comprese le leggi razziali del 1938, il quale abdicò a favore del figlio Umberto in modo da dimostrare al corpo elettorale la continuità dell’istituto monarchico. Ciò avvenne in aperta contraddizione con il proclama del 12 aprile 1944 con il quale si era ritirato dalla vita pubblica e aveva nominato come “luogotenente” il figlio.

L’esito del referendum fu contrassegnato da una forte partecipazione al voto (pari all’89,1% degli aventi diritto). La Repubblica vinse con 12.717.923 voti sulla monarchia che ne ebbe 10.719.284, ma vi fu una frattura tra il centro-nord, repubblicano al 66,3%, e il sud, monarchico al 64,8%. Nella circoscrizione Perugia-Terni-Rieti partecipò il 90,26% degli elettori, la Repubblica ottenne il 66,7% dei voti, la monarchia il 33,3%. I risultati definitivi del referendum furono proclamati dalla Corte di Cassazione il 18 giugno, con notevole ritardo rispetto alla data di svolgimento della consultazione popolare. A ciò non fu estranea la contestazione di parte monarchica la quale sosteneva che ai fini della vittoria della Repubblica occorresse la maggioranza assoluta dei votanti e quindi andassero conteggiate anche le schede bianche e quelle nulle, contestazione che fu respinta dalla Cassazione e che comunque non avrebbe cambiato l’esito del referendum in quanto il totale dei voti bianchi e nulli, pari a 1.936.708, non avrebbe impedito alla Repubblica l’ottenimento della maggioranza assoluta. Vi fu inoltre l’accusa al ministro dell’interno, il socialista Romita, di avere operato brogli a favore della Repubblica, accusa mai supportata da prove e dati certi e che sottovaluta il fatto che la trasmissione ufficiale dei dati elettorali muoveva dai presidenti dei seggi all’ufficio elettorale circoscrizionale e da questo all’ufficio elettorale nazionale, entrambi composti da magistrati. Non mancarono, infine, le minacce di colpo di Stato, che furono definitivamente sepolte dalla decisione di Umberto II di andare in esilio il 13 giugno.

Oggi la Repubblica pare non essere più in discussione. E quindi, se si desse per buono l’argomento usato di recente da De Rita per il 25 aprile, festa che non direbbe più nulla perché non vi è la minaccia del ritorno del fascismo, lo stesso dovrebbe valere per il 2 giugno, visto che nessuno propone la restaurazione della monarchia. In effetti la festa fu soppressa nel 1977 non perché “inutile” ma in base alla misera ragione del contenimento dei costi, per essere rispristinata nel 2001 su pressione del Presidente Ciampi. La verità è che la Repubblica, al pari dell’antifascismo, è fortemente radicata e qualificata nella Costituzione. Non a caso l’art. 139 considera “la forma repubblicana” non sottoponibile alla revisione costituzionale. Si tratta quindi di una scelta irreversibile, che non può essere messa in discussione neppure con una legge costituzionale approvata con il procedimento aggravato disciplinato dall’art. 138, ma solo con un colpo di Stato monarchico. Ma vi è di più: il termine Repubblica sta ad indicare non solo che alla testa dello Stato vi deve essere un Presidente rappresentativo e eletto per un tempo determinato, in luogo di un monarca ereditario, ma è qualificato dai principi fondamentali contenuti nei primi dodici articoli della Costituzione.

            L’art. 1 definisce l’Italia come “una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Ciò comporta innanzitutto che titolare della sovranità sia il popolo che tuttavia “la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Ne deriva il rifiuto di qualsiasi concezione populistica e plebiscitaria, che immagina la volontà del popolo come unitaria e il suo rapporto diretto con un “capo” elettivo, con la conseguente emarginazione dei corpi intermedi, come il Parlamento e i partiti. Inoltre la natura democratica della Repubblica trova il suo fondamento anche in altri principi stabiliti nella seconda parte della Costituzione relativa all’ “Ordinamento della Repubblica”: in quello della separazione dei poteri (tra legislativo, esecutivo e giudiziario), che devono essere reciprocamente indipendenti, e nella istituzione di poteri di garanzia e di controllo, come il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Vi sono, poi i “diritti inviolabili dell’uomo” che la Repubblica riconosce e garantisce (art. 2), anche essi non intaccabili neppure da leggi costituzionali, che trovano ampio svolgimento e forti tutele nella prima parte della Costituzione contenente il catalogo dei diritti civili, sociali e politici. Altrettanto importanti sono i doveri costituzionali. Già l’art. 2 stabilisce che la Repubblica “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Nella prima parte della Costituzione, relativa ai Diritti e ai doveri dei cittadini”, è previsto il “sacro dovere del cittadino” di difendere la Patria (art. 52), il concorso di tutti alle spese pubbliche fondato su un sistema tributario “informato a criteri di progressività” (art. 53), il dovere dei cittadini di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi nonché quello dei titolari di funzioni pubbliche “di adempierle con disciplina ed onore” (art. 54) La democraticità della Repubblica è ulteriormente qualificata dal principio della pari dignità sociale e dell’eguaglianza di fonte alla legge che non ammette discriminazioni fondate su sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali (art. 3, comma 1).

            Fra i diritti costituzionali un particolare rilievo assumono i diritti sociali, che mirano a perseguire la giustizia sociale. A tale finalità è indirizzato il principio di eguaglianza sostanziale, con il quale la Repubblica, prendendo atto delle profonde diseguaglianze esistenti in Italia, si impegna a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3, comma 2). In base all’art. 1 il lavoro costituisce il fondamento della Repubblica democratica. La centralità del lavoro trova espressione nel riconoscimento da parte della Repubblica del diritto al lavoro, per il quale si impegna a promuovere le condizioni per renderlo effettivo, e del dovere di svolgere una attività per concorrere “al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4). Infine nella prima parte della Costituzione vi è un intero Titolo dedicato ai “Rapporti economici” (artt. 35-47) che stabilisce le garanzie del lavoro (la retribuzione equa e comunque sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, la durata massima della giornata lavorativa, il diritto al riposo settimanale e alle ferie, la parità a favore della donna lavoratrice, la tutela del lavoro dei minori, l’assistenza e la previdenza sociale, la libertà sindacale, il diritto di sciopero) e contiene norme che danno vita alla “Costituzione economica”, fondata sul principio per cui l’economia deve essere uno strumento al servizio dell’uomo e non viceversa. Tra queste spicca l’art. 41 che sancisce la libertà dell’iniziativa economica privata, ma stabilisce che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Gli articoli successivi prevedono che la legge assicuri la funzione sociale della proprietà, che può anche essere espropriata salvo indennizzo “per motivi d’interesse generale”, che possa riservare o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, a soggetti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, imprese relative a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio con carattere di preminente interesse generale, che disciplini il diritto dei lavoratori  di collaborare alla gestione delle aziende.

            Tra i principi fondamentali va sottolineato quello autonomistico (art. 5) che promuove le autonomie locali, ma nel rispetto dell’unità e della indivisibilità della Repubblica, il che comporta in combinazione con il principio di eguaglianza che le competenze attribuite a Regioni e Enti locali non possono essere esercitate in modo da produrre diseguaglianze tra cittadini e persone a seconda della loro diversa residenza territoriale.

            Il principio della libertà religiosa stabilisce l’eguale libertà di fronte alla legge di tutte le confessioni (art. 8), anche se alla religione cattolica viene riservata una posizione di favore con il riconoscimento della pari indipendenza e sovranità dello Stato e della Chiesa e il riferimento ai Patti lateranensi, che tuttavia non vengono costituzionalizzati in quanto le modificazioni accettate dalle due parti possono essere stabilite con legge ordinaria (art. 7).

            L’art. 9 contiene due principi fondamentali. Il primo impone alla Repubblica di promuovere lo sviluppo della cultura e la ricerca e trova ulteriore svolgimento nella libertà dell’arte e della scienza e nell’obbligo della Repubblica di istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi (art. 33) nonché nel riconoscimento del diritto all’istruzione e del diritto allo studio per i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi (art. 34). Il secondo principio prevede che la Repubblica tuteli il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Dalla combinazione tra tutela del paesaggio e tutela della salute, che è al contempo un diritto fondamentale dell’individuo e un interesse della collettività (art. 32) la Corte costituzionale ha ricavato l’esistenza di un diritto all’ambiente costituzionalmente garantito.

            Gli articoli 10 e 11 sanciscono due principi tra loro strettamente connessi. Il primo è il principio internazionalista, che stabilisce l’obbligo dell’Italia di obbedire alle norme consuetudinarie del diritto internazionale, consente le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni, promuove le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo (in base alle ultime due disposizioni la Corte costituzionale ha legittimato l’adesione dell’Italia all’Unione europea). Nell’apertura internazionalista della Repubblica rientrano anche le norme che riguardano gli stranieri: la loro condizione è regolata in conformità delle norme e dei trattati internazionali; è riconosciuto il diritto di asilo allo straniero al quale è impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana; è vietata l’estradizione dello straniero per reati politici. Il secondo principio è quello pacifista che impone il ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

La domanda che oggi occorre porsi è se l’insieme dei principi, diritti e doveri che qualificano la Repubblica abbia avuto piena attuazione. Non vi è dubbio che nei primi trenta anni dall’entrata in vigore della Costituzione siano state approvate importanti leggi di attuazione delle Costituzione e un ruolo importante sia venuto dalla Corte costituzionale che ha annullato numerose norme di origine fascista, come quelle in materia penale e di pubblica sicurezza. In particolare negli anni Settanta l’attuazione dei principi repubblicani ha avuto un grande impulso grazie a importanti conquiste legislative: nel 1970 lo Statuto dei lavoratori, l’attuazione degli istituti di democrazia diretta, l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario, il divorzio; nel 1975 il nuovo codice civile che ha parificato la posizione dei coniugi nella famiglia; nel 1977 la parità di trattamento di uomini e donne nel lavoro; nel 1978 la riforma sanitaria, l’interruzione volontaria della gravidanza, l’introduzione di principi democratici nell’ordinamento militare.

Nei decenni successivi l’affermarsi della ideologia neoliberista ha interrotto il cammino dell’attuazione o ha determinato vere e proprie involuzioni. Basti pensare alla diminuzione della tutela della salute a causa del ripetuto taglio delle risorse per la sanità pubblica e alle grandi differenziazioni tra le Regioni, come la pandemia in atto ha tristemente posto in risalto, ai danni recati all’ambiente e al patrimonio culturale assoggettati allo sfruttamento per fini industriali e commerciali, alla compressione della ricerca e del diritto allo studio a causa della riduzione delle risorse destinate alla cultura e alla istruzione, ai duri colpi inferti alle garanzie del lavoro che hanno prodotto disoccupazione, precarietà e moltiplicato le morti dei lavoratori, dovute alla mancata o inadeguata attuazione dei dispositivi di sicurezza e a ritmi di lavoro massacranti. La Repubblica è quindi di grande attualità e richiede che si riprenda il percorso di attuazione di principi, diritti e doveri. Per questo la festa di quest’anno dovrebbe essere in particolare dedicata a due giovani operai, Luana di Pistoia e Samuel di Gubbio, e a tutti gli altri lavoratori vittime della mancata attuazione dei limiti all’iniziativa economica privata previsti dall’art. 41 della Costituzione.

 

 



Mauro Volpi


Inserito giovedì 3 giugno 2021


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