18/04/2024
direttore Renzo Zuccherini

Home >> Obbligo scolastico e diritto all'istruzione

Obbligo scolastico e diritto all'istruzione
A chi appartiene un bambino, una bambina? Appartiene a sé stesso/a. Ma non per essere lasciato a sé stesso, ma per essere accompagnato in un percorso di autonomia e di scoperta di sé e del mondo


Si torna a parlare di scuola in campagna elettorale, proprio alla vigilia del nuovo anno scolastico, che a quanto si sa ripropone i problemi tristemente collaudati e altri legati all'emergenza Covid tutt'altro che archiviata.
Di fronte a questo, i temi lanciati dai partiti, in una prospettiva programmatica e non emergenziale presentano un alto rischio di fuga in avanti. Proprio perché è così, conviene prendere sul serio le proposte e avviare (o meglio, riprendere) una riflessione seria ed argomentata che vada oltre l'orizzonte di una scadenza elettorale, peraltro vicinissima.
Una delle questioni, certo non inedita, che sta  animando il confronto delle forze politiche riguarda la durata dell'obbligo scolastico. È nota la proposta lanciata dal PD di Letta e variamente "chiosata" dai suoi contendenti (alleati, contigui, avversari): elevare l'età dell'obbligo portandola dai 3 ai 18 anni. Poiché si tratta di un tema cruciale, che coinvolge aspetti culturali, pedagogici e ordinamentali del sistema, mi sembra opportuno proporre qualche elemento di riflessione e di analisi.
Un punto di partenza a mio avviso essenziale risiede nell'approfondire il nesso "obbligo scolastico-diritto all'istruzione" ( come anticipato nel titolo) che, se non esplorato, alimenta indebite confusioni e legittima polemiche deboli sul piano argomentativo.
Il diritto all'istruzione è sancito dalla Costituzione che, all'articolo 34 c. 2, lo prevede per "almeno otto anni". ALMENO: attenzione a questo avverbio, con cui i padri costituenti hanno voluto indicare una "soglia minima" di esercizio del diritto, lasciando aperta una strada a successivi interventi volti ad aumentarla. Da ricordare a questo proposito che il sistema educativo di istruzione veniva da una lunga storia di innalzamento dell'obbligo, lunga quanto lo sviluppo delle sue norme fondamentali. Questa evoluzione è uno dei segnali più significativi del tasso di democraticità dello Stato italiano, come non manco di sottolineare con i miei studenti al corso presso Scienze dell'educazione e della formazione alla Sapienza. Tale rimane anche nell'attuale dibattito e nel confronto politico.
Ma che rapporto si pone, concettualmente, tra diritto e obbligo di istruzione? Quale dinamica istituzionale disegna? Ritengo ragionevole sostenere che l'obbligo sia, in sostanza, la traduzione sul piano istituzionale (e, come vedremo, ordinamentale) del principio del diritto affermato. Questa osservazione comporta che ha più a che fare con un dispositivo in carico allo Stato che non con una  "coscrizione scolastica", erede in questo di una concezione autoritaria, sul modello della coscrizione militare. Lo Stato è obbligato ad istituire scuole in tutto il territorio nazionale, affinché sia garantito il diritto all'istruzione nella "scuola aperta a tutti" (art. 34 c. 1). 
Io credo che le reazioni di alcune parti politiche alla proposta del PD, sull'obbligo dai 3 ai 18 anni, riflettano piuttosto questa concezione e un conseguente atteggiamento di ostilità verso l'idea di uno Stato "rapace", identificato da una serie di "lacci e lacciuoli", piuttosto che garante e presidio di diritti. Da cui le accuse, per la verità discutibili, di "statalismo", addirittura di "sovietismo", lanciate da esponenti di formazioni politiche che si presentano agli elettori. 
È una battaglia, dunque, culturale prima ancora che ideologica: le accuse di "ideologia" appartengono al repertorio trito e semplificatorio tipico delle campagne elettorali.
Qui la questione è un'altra, ed è più articolata: ci vedo in fondo un'idea "proprietaria" dei figli che in questo Paese è dura a morire. Accomunava, ai tempi, la reticenza delle classi alto - borghesi (che non di rado, avendone i mezzi, preferivano impartire un'istruzione ricorrendo a privati) e l'aperta ostilità delle classi subalterne, che si  vedevano sottrarre i figli considerati "braccia da lavoro". L'evasione dall'obbligo è stata la piaga della scuola italiana, come un fenomeno strutturale che oggi prende le sembianze della dispersione scolastica. 
Questa postura che, ripeto, mi sembra legata a fattori culturali prima ancora che socioeconomici, spiega anche la decisa polemica che sta suscitando l'estensione dell'obbligo alla fascia d'età della Scuola dell'infanzia (3 - 6 anni). In questo caso, si combina con precisi interessi, che ne sarebbero coinvolti, da parte dei soggetti privati che gestiscono l'educazione della prima infanzia. Qual è, in definitiva, il pensiero sotteso a queste reazioni perfino scandalizzate di certe parti politiche (conservatrici e moderate di ispirazione liberista)? È l'idea che il figlio "è mio": non è mia la cura, principio sacrosanto, ma la gestione esclusiva. Al più lo "cedo", per un tempo e uno scopo definito, come una proprietà.
Io credo che sia maturo il tempo per operare un salto culturale, sulla scorta di una domanda: a chi appartiene un bambino, una bambina? Appartiene a sé stesso/a. Ma non per essere lasciato a sé stesso, come troppo spesso succede trasversalmente in tutti gli strati sociali, ma per essere accompagnato in un percorso di autonomia e di scoperta di sé e del mondo. Per questo c'è bisogno di un grande "patto culturale", prima ancora che educativo, tra le famiglie e la scuola: non per spartirsi una proprietà, ma per sostenere una crescita nel segno del diritto. Allora l'obbligo dai 3 anni, che beninteso lo Stato deve garantire nel sistema pubblico, non è una forzatura statalista, ma l'espressione istituzionale di quel nuovo patto.
Potrei portare l'analisi sul piano ordinamentale, ricordando che del sistema scolastico la scuola dell'infanzia fa parte a pieno titolo, benché non sia, ad oggi, obbligatoria (come del resto non lo sono i trienni della secondaria superiore). Osservando che gli ordinamenti prefigurano senza forzature l'estensione dell'obbligo in tutte e due le direzioni del percorso.
Resta da considerare, ultimo ma non ultimo,  che il sistema di istruzione, nella secondaria, deve fare ancora molti e concreti passi avanti per essere davvero in grado di accogliere tutti gli "obbligati" (direi meglio gli "aventi diritto"...) per garantire loro il successo formativo. Sappiamo bene che proprio nel triennio si verificano i fenomeni più massicci di ripetenze e abbandoni. È l'impianto didattico che va ripensato, nella direzione delle metodologie attive e della didattica laboratoriale: quella che per consolidata esperienza meglio può interagire con la popolazione scolastica più fragile e deprivata.
Eppure, è bene chiarirlo, queste riserve non possono costituire un alibi per non attivare subito iniziative legislative in direzione dell'obbligo 3/18, ovviamente accompagnate da documentate previsioni finanziarie e adeguate ipotesi organizzative sul piano della fattibilità.
I grandi nemici della scuola sono due: il massimalismo e il benaltrismo. Sarà benemerita quella compagine politica che si guarderà dall'uno e dall'altro, per intraprendere strade serie e coraggiose. Con la scuola, non contro o nonostante la scuola



Simonetta Fasoli

Inserito domenica 28 agosto 2022


Redazione "La Tramontana"- e-mail info@latramontanaperugia.it
Sei la visitatrice / il visitatore n: 6995118