05/05/2024
direttore Renzo Zuccherini

Home >> Un'autonomia contro la costituzione

Un'autonomia contro la costituzione
Il progetto di autonomia differenziata deve essere seriamente contrastato con una mobilitazione popolare che metta in difficoltà la maggioranza parlamentare e in particolare coloro che parlano continuamente di Patria e di Nazione e sono disposti a svendere l’unità nazionale




Pubblichiamo il testo dell'intervento fatto l'11 febbraio a Umbertide nel Convegno contro l'autonomia differenziata, organizzato da Socialismo XXI.

 L’autonomia differenziata è una minaccia particolarmente insidiosa contro la Costituzione perché viene contrabbandata come un’attuazione della Costituzione, in particolare dell’art. 116, comma 3, che prevede l’attribuzione alle Regioni di “forme e condizioni particolari di autonomia” ulteriori rispetto a quelle stabilite nell’art. 117. Tale previsione fu introdotta improvvidamente dal centro-sinistra nella riforma del titolo V, parte seconda, della Costituzione del 2001, come una sorta di contentino al federalismo sbandierato dalla Lega Nord, nella illusione che avrebbe evitato il riproporsi di minacce all’unità nazionale. In realtà i leghisti sostenitori dell’autonomia differenziata sono rei confessi nella loro intenzione di stravolgere la Costituzione quando fanno derivare dall’autonomia differenziata l’instaurazione di uno Stato federale. Quindi prefigurano il cambiamento della forma di Stato mediante una legge ordinaria (la legge Calderoli) e le leggi adottate a maggioranza assoluta che recepiranno le intese tra lo Stato e le singole Regioni, senza che sia approvata una legge costituzionale con il procedimento stabilito dall’art. 138 (doppia votazione delle Camere, di cui la seconda almeno a maggioranza assoluta, e, qualora la maggioranza sia inferiore ai due terzi dei componenti, possibilità di chiedere il referendum da parte di un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali).
 Va poi considerato che una disposizione costituzionale deve fare corpo con l’insieme delle norme costituzionali e non può pregiudicare i principi supremi della Costituzione e l’assetto complessivo dei rapporti Stato-Regioni. Questo è proprio quello che fanno la legge di bilancio per il 2023 e la legge Calderoli di attuazione dell’autonomia differenziata approvata il 2 febbraio dl Consiglio dei ministri. Il primo principio fondamentale a essere violato è l’unità e l’indivisibilità della Repubblica ex art. 5 Cost., che sarebbe pregiudicato dalla numerosità delle materie tutte trasferibili alle Regioni (23 nella intesa relativa al Veneto, 20 per la Lombardia e “solo” 16 per l’Emila e Romagna) e dalla loro importanza. Infatti alcune riguardano i diritti fondamentali, come la salute, l‘istruzione, i beni ambientali e culturali, la tutela e la sicurezza del lavoro), altre le infrastrutture di interesse nazionale, come porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e navigazione e (sembra incredibile in tempi di crisi energetica in Italia e in Europa) produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia. In pratica l’Italia si trasformerebbe in un Arlecchino diviso in Repubblichette titolari di competenze disparate e enormemente differenziate tra di loro. Ciò porterebbe di fatto a una forma di secessione e alla disunione del Paese, progetto che la Lega non ha mai abbandonato, come dimostra il fatto che il referendum consultivo nel 2017 del Veneto (seguito lo stesso anno dalla Lombardia) sulla richiesta di autonomia differenziata si tenne in base alla prima di due leggi approvate nel 2014, che chiedevano ai cittadini di pronunciarsi anche su altri quesiti: se mantenere alla Regione almeno l’80% dei tributi pagati dai veneti, se trasformarla in Regione a statuto speciale e infine se farla diventare una “Repubblica indipendente e sovrana”. Le previsioni legislative dei tre referendum più dirompenti sono state dichiarate incostituzionali con la sentenza n. 118/2015 della Corte costituzionale, che ha lasciato in vita solo il referendum sull’autonomia differenziata.
 Un secondo principio a essere violato è quello stabilito dall’art. 2 Cost., che impone l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. L’art. 5, comma 2, della legge Calderoli stabilisce che il finanziamento delle funzioni attribuite alle Regioni avvenga tramite “compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale”. Quindi le Regioni più ricche otterranno finanziamenti ulteriori e più cospicui, esattamente al contrario di quanto prevede l’art. 119, comma 3, Cost., che stabilisce l’istituzione di un fondo perequativo “per i territori con minore capacità fiscale per abitante” e del comma 5, per cui lo Stato “destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali” a favore di Enti locali e Regioni al fine di promuoverne lo sviluppo economico, la coesione sociale, l’effettivo esercizio dei diritti della persona.
 Viene poi violato il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., sia in senso formale come pari trattamento davanti alla legge, sia in senso sostanziale come rimozione degli ostacoli economici e sociali che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Infatti il progetto governativo è destinato ad aumentare le diseguaglianze tra territori e tra cittadini in base alla loro residenza, impoverendo di più proprio quelli che dovrebbero essere maggiormente finanziati. Basti pensare alle due materie della salute e della istruzione. Nella prima, che ha conosciuto un progressivo definanziamento della sanità pubblica e lo sviluppo della privatizzazione, con gli effetti nefasti che si sono prodotti durante la pandemia, si avrebbe lo smantellamento del servizio sanitario nazionale e dei principi di universalità, eguaglianza e gratuità, che è stato già colpito producendo il fenomeno terribile di milioni di cittadini che rinunciano a curarsi. Per l’istruzione le Regioni beneficiarie delle intese potrebbero ereditare in via esclusiva il potere, anche legislativo, di dettare le “norme generali” in materia e quindi di stabilire gli indirizzi educativi e culturali (come l’insegnamento obbligatorio della “lingua veneta”, previsto in una proposta di legge presentata a inizio legislatura da 18 deputati leghisti), di disciplinare la designazione dei direttori scolastici e la struttura degli organi rappresentativi e infine di prevedere le modalità di reclutamento di professori e personale e un trattamento economico differenziato (come ventilato dal poco “meritevole” ministro Valditara).
 La legge di bilancio per il 2023 viola l’art. 117, comma 2, lett. m, Cost., che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Infatti tale competenza viene attribuita a una cabina di regia di nomina governativa supportata da una commissione tecnica e, qualora non ci riesca entro dodici mesi, a un commissario nominato dal Presidente del consiglio e dal Ministro per gli affari regionali, per essere alla fine recepita in Decreti del Presidente del consiglio dei ministri (Dpcm), cioè in atti amministrativi generali non assoggettati al controllo del Presidente della Repubblica, del Parlamento e della Corte costituzionale. Intanto è del tutto improbabile che i Lep inattuati dal 2001 siano determinati entro un anno ed è ancora più difficile che sia stabilito l’ammontare delle notevoli risorse finanziarie necessarie, il che significa in concreto che il trasferimento di nuove funzioni alle Regioni sulla base dell’intesa stipulata con il Governo potrebbe avvenire in base alla spesa storica che ha nettamente privilegiato quelle più ricche del Nord. Ma soprattutto il procedimento previsto viola la riserva di legge stabilita nella Costituzione per cui la determinazione dei Lep deve avvenire in base ad una legge o comunque ad atti legislativi che stabiliscano i principi fondamentali e le norme generali della materia.
 L’ultima e più eclatante violazione colpisce il principio di separazione dei poteri. Il Parlamento viene ad essere emarginato in quanto sulla determinazione dei Lep si limita a esprimere un parere non vincolante entro 45 giorni e sullo schema di intesa formula “atti di indirizzo” entro 60 giorni, che sono “valutati” da Presidente del consiglio e Ministro, ma la cui irrilevanza è dimostrata dal fatto che questi possono procedere anche senza pareri e atti di indirizzo che non siano stati espressi entro il termine stabilito. Inoltre il Parlamento non può minimamente modificare il disegno di legge che recepisce l’intesa tra Governo e singola Regione. In teoria può respingerlo, ma una maggioranza di destra-centro come quella attuale approverà sicuramente la legge specie se riguarda una Regione politicamente “amica”.
 Un’ultima osservazione riguarda il valore giuridico della “legge Calderoli” approvata in via preliminare dal Consiglio dei ministri. Si tratta di una legge ordinaria che per essere approvata richiede il voto favorevole della maggioranza dei deputati e dei senatori votanti e quindi si collocherebbe su un livello inferiore rispetto alle leggi che recepiranno le intese con le Regioni che sono approvate a maggioranza assoluta (la metà più uno dei componenti delle Camere). Si tratta quindi di leggi rinforzate che potrebbero derogare a quanto previsto nella legge Calderoli, stabilendo ad esempio che si proceda al trasferimento delle materie e delle funzioni indicate nella intesa anche se non siano stati stanziati i provvedimenti di finanziamento del Lep. Tanto più che la determinazione delle relative risorse umane, strumentai e finanziarie viene attribuita ad una commissione paritetica, disciplinata dall’intesa, composta dai rappresentanti del Governo e della Regione interessata.
 Il progetto di autonomia differenziata deve essere seriamente contrastato con una mobilitazione popolare che metta in difficoltà la maggioranza parlamentare e in particolare coloro che parlano continuamente di Patria e di Nazione e sono disposti a svendere l’unità nazionale a vantaggio di quella della coalizione di maggioranza. In questo quadro il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale ha lanciato un disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare per la cui presentazione alle Camere occorrono cinquantamila firme che possono essere raccolte su moduli cartacei o in via digitale sul sito www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it.
 Le modifiche degli articoli 116 e 117 Cost. contengono quattro novità importanti:
1. Le funzioni ulteriori attribuibili alle Regioni sono limitate alle materie di competenza concorrente di Stato e Regioni, devono essere giustificate dalle specificità del territorio, sono deliberate non sulla base di intesa ma solo “sentita la Regione” con legge approvata a maggioranza assoluta delle Camere, che può essere sottoposta a referendum preventivo su richiesta di un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali e a referendum abrogativo dopo la sua entrata in vigore.
2. La legge statale può intervenire nelle materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richiede la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o la tutela dell’interesse nazionale.
3. I livelli delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali non devono essere “essenziali” ma “uniformi” in modo da garantire effettivamente l’eguaglianza tra i cittadini.
4. Sono restituite alla competenza legislativa esclusiva dello Stato materie concernenti i diritti fondamentali, come tutela della salute, scuola e università, tutela e sicurezza del lavoro, ricerca scientifica e tecnologica; in materia di infrastrutture, come reti nazionali e interregionali di trasporto e di navigazione, porti e aeroporti civili di rilievo nazionale e interregionale, reti e ordinamento della comunicazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale e interregionale dell’energia; relative alla previdenza sociale e a quella complementare e integrativa.
Il ddl popolare in base a una modifica del regolamento interno del Senato approvata nel 2017 deve essere esaminato dalla Commissione competente entro tre mesi decorsi i quali viene iscritto d’ufficio nel calendario dei lavori dell’Assemblea. La sua presentazione sarebbe quindi l’occasione per discutere finalmente in Parlamento sulle norme necessarie a impedire lo stravolgimento della Costituzione da parte del progetto di autonomia differenziata. 




Mauro Volpi

Inserito domenica 19 febbraio 2023


Redazione "La Tramontana"- e-mail info@latramontanaperugia.it
Sei la visitatrice / il visitatore n: 7014555